Il coro
La canzone sussurrata
nella palestra della scuola
Settecento persone congelate, distese per terra, sepolte tra coperte, bottiglie e sacchetti di vestiti fradici, sono immobili e in silenzio nella palestra della scuola elementare di Kesennuma. Hanno il volto coperto dalla mascherina bianca che dovrebbe proteggerle dalle radiazioni. I vecchi piangono con la schiena, senza produrre lacrime. Gli adulti guardano verso la città che non esiste più e l’oceano che ancora porta al largo le loro case e migliaia di corpi irriconoscibili. I bambini non sanno come stare. Sono le 14.46: una settimana fa il terremoto più violento della storia giapponese aveva appena sollevato l’onda dello tsunami che ha devastato 500 chilometri della costa più protetta della terra. Qui manca la corrente e la sirena non può suonare. Il freddo si prende i più deboli tra i 600 mila senza tetto dell’Honshi. Un coro di ragazzi, coperti con pigiami della misura sbagliata e con i piedi infilati in scarpe altrui, intona sottovoce una canzone.
Gli orfani
Il saluto e gli applausi
ai ragazzini in corriera
A Sendai è tornato il sole e sette corriere pulite, arrivate da Tokyo, hanno il motore acceso nel parcheggio del municipio. Trecentocinquanta bambini escono dall’edificio e, ordinati, scavalcavano gli edifici in cui vivevano. Hanno tutti la stessa cartella. Stringono un diploma di merito, consegnato dalle uniche due maestre rintracciate. Sfilano davanti ai pannelli a cui sono affisse le liste dei morti e dei dispersi della città. È il primo scaglione degli orfani di Sendai, a cui la prefettura di Miyagi ha offerto alcuni giorni di vacanza in una località ai piedi del cono di latte chiamato monte Fuji. Nel pomeriggio saranno raggiunti delle corriere riservate ai figli di genitori non rintracciati e considerati in una situazione sospesa. Migliaia di evacuati circondano in silenzio i bambini pronti per la gita e per alcuni minuti fermano i pullman che li portano via. I partenti sorridono e salutano con la mano da dietro i finestrini. Tra chi resta scoppia un applauso che punta dritto in cielo.
Il postino
Il lungo e silenzioso addio
del miracolato dell’oceano
Tetsu Hasegawa aveva 57 anni e da trentasette faceva il postino a Kamaishi. Lo ha salvato il mestiere. Quando è suonato l’allarme stava consegnando lettere sul porto. Ha visto l’onda arrivare ed è saltato sulla bicicletta. L’acqua saliva e gli mangiava la strada. Ha pedalato senza girarsi e il fango gli è arrivato a metà ruota. Pensava di essere riuscito ad arrivare a casa, ma al posto dell’edificio costruito dal padre c’era un lago che non aveva mai visto. Solo martedì si è convinto che la sua famiglia era sparita là sotto: genitori, moglie e due figli che stavano studiando. Agli amici ha detto di non pensare a lui, ma di aiutare i feriti. Miracolato dall’oceano, Testsu Hasegawa è morto improvvisamente ieri mattina nel centro di raccolta. I medici hanno accertato che l’hanno ucciso la fame e la sete. Sotto la sua coperta hanno trovato le razioni di cibo e di acqua che per sette giorni non ha consumato. Ha lasciato una busta chiusa indirizzata alla moglie annegata.
Il giardiniere
I fiori rosa dell’imperatore
per le vittime dimenticate
Yoshikatsu Hiratsuka cura ciliegi e meli del palazzo imperiale di Tokyo. Dopo trent’anni oggi ha ricevuto l’ordine di chiudere l’entrata del pubblico. La nazione è in lutto e l’imperatore vuole dire ai sudditi che anche la natura si ferma a piangere. Il giardiniere si scusa e spiega che i suoi fiori oggi sono riservati alle vittime dello tsunami. Si è svegliato presto e ha pulito la terra dove presto pianterà bulbi di tulipano. Attorno, Tokyo è una metropoli sotto shock. I negozi di Ginza sono chiusi e i rari ristoranti aperti spengono le luci alle otto. Yoshikatsu Hiratsuka dice che gli sembra di essere tornato a Ofunato, dove è nato, durante guerra. Tra i pini davanti al palazzo ha adagiato un ramo già fiorito di boccioli rosa. È per la famiglia di Kiyota Yamaguci, nel suo villaggio distrutto, che nessuno ha cercato. Tre generazioni, dodici persone, tutti scomparsi. Per questo nessuno li ha cercati e il giardiniere dell’imperatore desidera che si sappia.
La commessa
Quella madre ricomparsa
il giorno del suo funerale
Masako Sawasato è riapparsa ieri alle 11 e a Yamadachi l’hanno ribattezzata la “madre risorta”. Commessa di un supermercato era fuggita in auto, cercando di accelerare più dell’onda. È rimasta bloccata in un colonna, davanti alla quale era crollata la strada. Trenta mezzi inghiottiti sotto gli occhi dei passanti. Lunedì suo marito Yoshikatsu Hiratsuka ha denunciato che era scomparsa. Giovedì ne ha identificato i resti presunti, schiacciati sotto la sua Honda rossa. Ieri era il giorno del funerale. Marito e figlio stavano vegliando la bara, di legno chiaro. Vicino, un sacchetto con i regali per accompagnarla. Masako Sawasato li ha visti nell’obitorio, dove è entrata per cercare loro: anche lei li credeva defunti. Per una settimana, dopo essersi svegliata su uno scoglio, è rimasta isolata su una collina sei chilometri più a nord. Quando si sono rivisti, i tre non hanno detto niente. Poi il bambino le ha chiesto: “Dove sei stata?” e ha voluto toccarla.
La ciclista
La corsa disperata in bicicletta
a caccia di coperte e medicine
Michiko Takahashi ha 42 anni e faceva i conti nella cooperativa dei gamberi a Minami-Soma. È stata lei ad accorgersi che sulla spiaggia erano stesi trecento corpi. Ieri sera è arrivata a Tokyo, è scesa dalla sua bici ed è entrata in una farmacia. Ha acquistato uno scatolone di medicine contro l’influenza e la gastroenterite, che nelle prefetture travolte stanno contagiando migliaia di sopravvissuti. In un grande magazzino ha ordinato duecento coperte, il massimo che poteva permettersi investendo i risparmi. Poi è risalita in sella e ha imboccato la via del ritorno. Se non avesse incrociato un giornalista giapponese nessuno saprebbe di lei. Visto che dopo una settimana i soccorsi ancora non sono sufficienti, Michiko ha deciso di fare da sola. Oltre quattrocento chilometri in due giorni, sotto la neve e a digiuno, altrettanto per rientrare. Adesso i giapponesi pensano a lei e iniziano a credere che nulla è impossibile: nemmeno rialzarsi dopo l’11 marzo.
Il bambino
Una settimana alla deriva
aggrappato alle alghe
Hiroshi Gyobu ha 9 anni e ce l’ha fatta. È stato recuperato al largo di Rikuzen-Takata, la città di pescatori dove diecimila corpi sono ora sepolti da una palude. Giaceva su una barca rovesciata, aggrappato da sette giorni a un groviglio di alghe. Il pilota di un elicottero lo ha visto per caso, attratto da una mano che non si muoveva al ritmo della marea. Quando è stato issato con il verricello, il Giappone si è commosso. Ritiene di aver assistito ad un miracolo, forse all’inizio di una reazione, alla prova di poter resistere a tutto e ricominciare. Hiroshi Gyobu era stato spazzato via mentre era in auto con il padre Yoshiya. Si sono svegliati all’alba, su quello scafo. Erano fradici e il padre lo ha coperto con la sua giacca. Martedì gli ha infilato i suoi vestiti, tolti e stesi ad asciugare. Gli ha detto di non muoversi e di aspettarlo. “Raggiungo la riva, chiedo aiuto e vengo a prenderti – ha detto – altrimenti è la fine”. Si è calato in acqua e ha iniziato a nuotare, ma non è tornato.
L’operaio
Il condannato di Fukushima
e il segreto del reattore quattro
Futoshi Toba è il più vecchio tra i condannati a lottare per impedire che la centrale atomica di Fukushima esploda, distruggendo il Giappone. Ha 59 anni, è senza figli, e nella notte di sette giorni fa ha deciso che sarebbe toccato a lui. Giovedì, investito dalle radiazioni, è stato ricoverato in un centro di Tokyo e secondo i medici ci vuole tempo. La scelta dell’operaio Futoshi Toba, rivelata ieri in tivù, ha scosso il Paese come un altro terremoto. A giugno, perseguitato da una violenta bronchite cronica, sarebbe andato in pensione. “Hanno chiesto chi conoscesse il reattore 4 – ha raccontato – e vedendo i ragazzi che avevo vicino, ho risposto che io sapevo tutto. Ho capito che il mio destino era compiuto e che dopo anni vani avevo l’occasione di dare un senso alla mia vita”. Non ha voluto spiegare quale sia la situazione. “Mai visto prima il reattore 4 – ha aggiunto – ma prego il mio Paese di riflettere se questa è la strada giusta per assicurarci un futuro”.
Il pescatore
Nel mercato senza futuro
sconfitto dalla grande paura
Totsu Kiuno sega tonni a Tsukiji. Nel mercato del pesce di Tokyo tutto è cambiato. Nessuno acquista più molluschi: filtrano l’acqua e i clienti pensano che siano già radioattivi. Alghe secche e pacchi di sale, ricchi di iodio, sono esauriti. Da ieri tonni e aragoste surgelate costano invece più dell’oro. La flotta peschereccia del Nordest è decimata e all’alba i giapponesi danno l’assalto ai banchi per assicurarsi scorte per settimane. È l’incubo atomico: la gente cerca solo tonni e squali congelati, pescati prima dell’11 marzo. Esibire il certificato di pesce vecchio, per un ristorante, raddoppia gli affari. Anche le tartarughe vive vengono giudicate un antidoto alle radiazioni e l’asta di ieri notte ha battuto ogni record. Totsu Kiuno sega la spina dorsale dei suoi tonni di ghiaccio e li rifinisce con l’ascia, come sculture di legno. “Sono gli ultimi – dice – per anni non venderemo nemmeno un polipo”. Ha appeso un foglio al bancone: “Offresi manovale”.
L’artista
I ritratti del piccolo pittore
tra i superstiti della palude
Atsufumi Sato ha 5 anni ma in una settimana è diventato un artista famoso in tutto il Giappone. Viveva nella parte bassa di Ishinomaki, con i genitori e il fratello. È il pezzo di città che non si trova più: 12 mila inghiottiti. Fino ad oggi lui è stata l’unica cosa viva ad essere recuperata dal deserto di fango ancora inaccessibile. Dal primo istante, sotto una serra trasformata in rifugio per evacuati, disegna sua mamma, con i capelli neri, lunghi e tortuosi come un fiume colmo di giocattoli rotti. Sul volto non traccia la bocca e spiega che sarebbe inutile, visto che quella donna da venerdì scorso non gli parla. Ha già realizzato dieci ritratti, tutti uguali. I sopravvissuti di Ishinomaki, che possiedono solo gli abiti ricevuti dall’esercito, acquistano le sue opere, esposte a fianco della coperta in cui il bambino veglia, dorme e lavora. Pagano e lasciano i disegni lì, “esposti nel museo”. Atsufumi Sato dice che è contento, perché anche sua mamma valeva molto.
La canzone sussurrata
nella palestra della scuola
Settecento persone congelate, distese per terra, sepolte tra coperte, bottiglie e sacchetti di vestiti fradici, sono immobili e in silenzio nella palestra della scuola elementare di Kesennuma. Hanno il volto coperto dalla mascherina bianca che dovrebbe proteggerle dalle radiazioni. I vecchi piangono con la schiena, senza produrre lacrime. Gli adulti guardano verso la città che non esiste più e l’oceano che ancora porta al largo le loro case e migliaia di corpi irriconoscibili. I bambini non sanno come stare. Sono le 14.46: una settimana fa il terremoto più violento della storia giapponese aveva appena sollevato l’onda dello tsunami che ha devastato 500 chilometri della costa più protetta della terra. Qui manca la corrente e la sirena non può suonare. Il freddo si prende i più deboli tra i 600 mila senza tetto dell’Honshi. Un coro di ragazzi, coperti con pigiami della misura sbagliata e con i piedi infilati in scarpe altrui, intona sottovoce una canzone.
Gli orfani
Il saluto e gli applausi
ai ragazzini in corriera
A Sendai è tornato il sole e sette corriere pulite, arrivate da Tokyo, hanno il motore acceso nel parcheggio del municipio. Trecentocinquanta bambini escono dall’edificio e, ordinati, scavalcavano gli edifici in cui vivevano. Hanno tutti la stessa cartella. Stringono un diploma di merito, consegnato dalle uniche due maestre rintracciate. Sfilano davanti ai pannelli a cui sono affisse le liste dei morti e dei dispersi della città. È il primo scaglione degli orfani di Sendai, a cui la prefettura di Miyagi ha offerto alcuni giorni di vacanza in una località ai piedi del cono di latte chiamato monte Fuji. Nel pomeriggio saranno raggiunti delle corriere riservate ai figli di genitori non rintracciati e considerati in una situazione sospesa. Migliaia di evacuati circondano in silenzio i bambini pronti per la gita e per alcuni minuti fermano i pullman che li portano via. I partenti sorridono e salutano con la mano da dietro i finestrini. Tra chi resta scoppia un applauso che punta dritto in cielo.
Il postino
Il lungo e silenzioso addio
del miracolato dell’oceano
Tetsu Hasegawa aveva 57 anni e da trentasette faceva il postino a Kamaishi. Lo ha salvato il mestiere. Quando è suonato l’allarme stava consegnando lettere sul porto. Ha visto l’onda arrivare ed è saltato sulla bicicletta. L’acqua saliva e gli mangiava la strada. Ha pedalato senza girarsi e il fango gli è arrivato a metà ruota. Pensava di essere riuscito ad arrivare a casa, ma al posto dell’edificio costruito dal padre c’era un lago che non aveva mai visto. Solo martedì si è convinto che la sua famiglia era sparita là sotto: genitori, moglie e due figli che stavano studiando. Agli amici ha detto di non pensare a lui, ma di aiutare i feriti. Miracolato dall’oceano, Testsu Hasegawa è morto improvvisamente ieri mattina nel centro di raccolta. I medici hanno accertato che l’hanno ucciso la fame e la sete. Sotto la sua coperta hanno trovato le razioni di cibo e di acqua che per sette giorni non ha consumato. Ha lasciato una busta chiusa indirizzata alla moglie annegata.
Il giardiniere
I fiori rosa dell’imperatore
per le vittime dimenticate
Yoshikatsu Hiratsuka cura ciliegi e meli del palazzo imperiale di Tokyo. Dopo trent’anni oggi ha ricevuto l’ordine di chiudere l’entrata del pubblico. La nazione è in lutto e l’imperatore vuole dire ai sudditi che anche la natura si ferma a piangere. Il giardiniere si scusa e spiega che i suoi fiori oggi sono riservati alle vittime dello tsunami. Si è svegliato presto e ha pulito la terra dove presto pianterà bulbi di tulipano. Attorno, Tokyo è una metropoli sotto shock. I negozi di Ginza sono chiusi e i rari ristoranti aperti spengono le luci alle otto. Yoshikatsu Hiratsuka dice che gli sembra di essere tornato a Ofunato, dove è nato, durante guerra. Tra i pini davanti al palazzo ha adagiato un ramo già fiorito di boccioli rosa. È per la famiglia di Kiyota Yamaguci, nel suo villaggio distrutto, che nessuno ha cercato. Tre generazioni, dodici persone, tutti scomparsi. Per questo nessuno li ha cercati e il giardiniere dell’imperatore desidera che si sappia.
La commessa
Quella madre ricomparsa
il giorno del suo funerale
Masako Sawasato è riapparsa ieri alle 11 e a Yamadachi l’hanno ribattezzata la “madre risorta”. Commessa di un supermercato era fuggita in auto, cercando di accelerare più dell’onda. È rimasta bloccata in un colonna, davanti alla quale era crollata la strada. Trenta mezzi inghiottiti sotto gli occhi dei passanti. Lunedì suo marito Yoshikatsu Hiratsuka ha denunciato che era scomparsa. Giovedì ne ha identificato i resti presunti, schiacciati sotto la sua Honda rossa. Ieri era il giorno del funerale. Marito e figlio stavano vegliando la bara, di legno chiaro. Vicino, un sacchetto con i regali per accompagnarla. Masako Sawasato li ha visti nell’obitorio, dove è entrata per cercare loro: anche lei li credeva defunti. Per una settimana, dopo essersi svegliata su uno scoglio, è rimasta isolata su una collina sei chilometri più a nord. Quando si sono rivisti, i tre non hanno detto niente. Poi il bambino le ha chiesto: “Dove sei stata?” e ha voluto toccarla.
La ciclista
La corsa disperata in bicicletta
a caccia di coperte e medicine
Michiko Takahashi ha 42 anni e faceva i conti nella cooperativa dei gamberi a Minami-Soma. È stata lei ad accorgersi che sulla spiaggia erano stesi trecento corpi. Ieri sera è arrivata a Tokyo, è scesa dalla sua bici ed è entrata in una farmacia. Ha acquistato uno scatolone di medicine contro l’influenza e la gastroenterite, che nelle prefetture travolte stanno contagiando migliaia di sopravvissuti. In un grande magazzino ha ordinato duecento coperte, il massimo che poteva permettersi investendo i risparmi. Poi è risalita in sella e ha imboccato la via del ritorno. Se non avesse incrociato un giornalista giapponese nessuno saprebbe di lei. Visto che dopo una settimana i soccorsi ancora non sono sufficienti, Michiko ha deciso di fare da sola. Oltre quattrocento chilometri in due giorni, sotto la neve e a digiuno, altrettanto per rientrare. Adesso i giapponesi pensano a lei e iniziano a credere che nulla è impossibile: nemmeno rialzarsi dopo l’11 marzo.
Il bambino
Una settimana alla deriva
aggrappato alle alghe
Hiroshi Gyobu ha 9 anni e ce l’ha fatta. È stato recuperato al largo di Rikuzen-Takata, la città di pescatori dove diecimila corpi sono ora sepolti da una palude. Giaceva su una barca rovesciata, aggrappato da sette giorni a un groviglio di alghe. Il pilota di un elicottero lo ha visto per caso, attratto da una mano che non si muoveva al ritmo della marea. Quando è stato issato con il verricello, il Giappone si è commosso. Ritiene di aver assistito ad un miracolo, forse all’inizio di una reazione, alla prova di poter resistere a tutto e ricominciare. Hiroshi Gyobu era stato spazzato via mentre era in auto con il padre Yoshiya. Si sono svegliati all’alba, su quello scafo. Erano fradici e il padre lo ha coperto con la sua giacca. Martedì gli ha infilato i suoi vestiti, tolti e stesi ad asciugare. Gli ha detto di non muoversi e di aspettarlo. “Raggiungo la riva, chiedo aiuto e vengo a prenderti – ha detto – altrimenti è la fine”. Si è calato in acqua e ha iniziato a nuotare, ma non è tornato.
L’operaio
Il condannato di Fukushima
e il segreto del reattore quattro
Futoshi Toba è il più vecchio tra i condannati a lottare per impedire che la centrale atomica di Fukushima esploda, distruggendo il Giappone. Ha 59 anni, è senza figli, e nella notte di sette giorni fa ha deciso che sarebbe toccato a lui. Giovedì, investito dalle radiazioni, è stato ricoverato in un centro di Tokyo e secondo i medici ci vuole tempo. La scelta dell’operaio Futoshi Toba, rivelata ieri in tivù, ha scosso il Paese come un altro terremoto. A giugno, perseguitato da una violenta bronchite cronica, sarebbe andato in pensione. “Hanno chiesto chi conoscesse il reattore 4 – ha raccontato – e vedendo i ragazzi che avevo vicino, ho risposto che io sapevo tutto. Ho capito che il mio destino era compiuto e che dopo anni vani avevo l’occasione di dare un senso alla mia vita”. Non ha voluto spiegare quale sia la situazione. “Mai visto prima il reattore 4 – ha aggiunto – ma prego il mio Paese di riflettere se questa è la strada giusta per assicurarci un futuro”.
Il pescatore
Nel mercato senza futuro
sconfitto dalla grande paura
Totsu Kiuno sega tonni a Tsukiji. Nel mercato del pesce di Tokyo tutto è cambiato. Nessuno acquista più molluschi: filtrano l’acqua e i clienti pensano che siano già radioattivi. Alghe secche e pacchi di sale, ricchi di iodio, sono esauriti. Da ieri tonni e aragoste surgelate costano invece più dell’oro. La flotta peschereccia del Nordest è decimata e all’alba i giapponesi danno l’assalto ai banchi per assicurarsi scorte per settimane. È l’incubo atomico: la gente cerca solo tonni e squali congelati, pescati prima dell’11 marzo. Esibire il certificato di pesce vecchio, per un ristorante, raddoppia gli affari. Anche le tartarughe vive vengono giudicate un antidoto alle radiazioni e l’asta di ieri notte ha battuto ogni record. Totsu Kiuno sega la spina dorsale dei suoi tonni di ghiaccio e li rifinisce con l’ascia, come sculture di legno. “Sono gli ultimi – dice – per anni non venderemo nemmeno un polipo”. Ha appeso un foglio al bancone: “Offresi manovale”.
L’artista
I ritratti del piccolo pittore
tra i superstiti della palude
Atsufumi Sato ha 5 anni ma in una settimana è diventato un artista famoso in tutto il Giappone. Viveva nella parte bassa di Ishinomaki, con i genitori e il fratello. È il pezzo di città che non si trova più: 12 mila inghiottiti. Fino ad oggi lui è stata l’unica cosa viva ad essere recuperata dal deserto di fango ancora inaccessibile. Dal primo istante, sotto una serra trasformata in rifugio per evacuati, disegna sua mamma, con i capelli neri, lunghi e tortuosi come un fiume colmo di giocattoli rotti. Sul volto non traccia la bocca e spiega che sarebbe inutile, visto che quella donna da venerdì scorso non gli parla. Ha già realizzato dieci ritratti, tutti uguali. I sopravvissuti di Ishinomaki, che possiedono solo gli abiti ricevuti dall’esercito, acquistano le sue opere, esposte a fianco della coperta in cui il bambino veglia, dorme e lavora. Pagano e lasciano i disegni lì, “esposti nel museo”. Atsufumi Sato dice che è contento, perché anche sua mamma valeva molto.
(19 marzo 2011)
Dovresti citare la fonte, altrimenti sembra che sia opera tua….
Hai ragione l’avevo messa nel post poi è sparita..!! GRAZIE.. 😉
http://www.repubblica.it/esteri/2011/03/19/news/superstiti_tsunami-13803201/?ref=HRER3-1
Alcuni dubbi: futoshi Toba e’ il sindaco di una cittadina giapponese devastata dal terremoto http://english.kyodonews.jp/photos/2011/03/79508.html e non ho trovato riferimenti alla storia di eroismo da te descritta nelle cronache giapponesi.
Senza nulla togliere ai numerosi atti di eroismo e alla compostezza di un popolo dal quale abbiamo tantissimo da imparare!
Come dicevo sopra.. ho trovato queste storie sul sito di Repubblica stamani… 😉
http://www.repubblica.it/esteri/2011/03/19/news/superstiti_tsunami-13803201/?ref=HRER3-1